Editoriale di Stefano Becciolini
Il cloud seeding, conosciuto in italiano come inseminazione delle nuvole, è una tecnica che permette di stimolare le precipitazioni introducendo nelle nubi sostanze come ioduro d’argento o cloruro di sodio. In Marocco, questa tecnica è stata adottata per combattere la siccità e aumentare le riserve d’acqua.
Dal 1985, il Marocco ha avviato un programma chiamato “Al-Ghaith”, in collaborazione con l’Agenzia Statunitense per lo Sviluppo Internazionale, USAID, per incrementare le piogge nelle aree più aride del Paese. Anche se non ci sono documenti ufficiali che attestino collaborazioni dirette con aziende private, diverse società di spicco operano in questo settore. Tra queste:
Weather Modification International, un’azienda americana che ha collaborato con vari governi a livello globale.
Sqeeding Operations and Atmospheric Research, che offre servizi di inseminazione delle nuvole e consulenze nel settore.
North American Weather Consultants, attiva da oltre 60 anni in progetti di cloud seeding in tutto il mondo.
Tra il 2021 e il 2023, il governo marocchino ha investito più di 160 milioni di dirham, circa 14,7 milioni di euro, in questo programma, realizzando ben 49 operazioni di inseminazione artificiale delle nuvole. L’obiettivo è aumentare le precipitazioni fino al 15% nelle aree interessate, con un impatto positivo anche sull’agricoltura, che potrebbe beneficiare di una crescita della produttività stimata al 20%. Tuttavia, l’efficacia della tecnica è oggetto di dibattito: alcuni esperti mettono in dubbio i benefici e sostengono che siano necessarie ulteriori ricerche.
L’intensificarsi delle operazioni di cloud seeding in Marocco ha destato preoccupazioni in Spagna, per via del timore di effetti collaterali, come possibili alluvioni o cambiamenti climatici nelle aree limitrofe. Nell’agosto 2024, l’agenzia meteorologica spagnola El Tiempo ha evidenziato questi rischi, specificando che il Marocco ha sviluppato 20 progetti di cloud seeding nell’ambito del suo piano nazionale.
La comunità scientifica è divisa sull’uso del cloud seeding e sulle sue implicazioni etiche. Da una parte, alcuni esperti pensano che possa aiutare a mitigare la siccità, ma dall’altra, ci sono timori per i possibili rischi ambientali e geopolitici. Un rapporto delle Nazioni Unite ha sottolineato come la geoingegneria climatica possa avere effetti negativi su biodiversità, oceani, temperature e, in generale, sulla vita umana. È quindi essenziale che tutte le parti coinvolte partecipino a un dialogo costruttivo su questi temi.
Negli ultimi quattro anni, diversi Paesi hanno utilizzato la tecnica del cloud seeding per aumentare le precipitazioni. Vediamo alcuni esempi:
Emirati Arabi Uniti: hanno avviato un programma di cloud seeding nelle aree aride, realizzando più di 300 missioni solo nel 2024.
Messico: dal 2020, ha usato questa tecnica per contrastare la siccità nelle zone rurali e per ricaricare le falde acquifere. Nel 2021, il cloud seeding è stato utilizzato anche per spegnere alcuni incendi boschivi.
Pakistan: nel 2023 ha sperimentato per la prima volta il cloud seeding per ridurre lo smog nella città di Lahore, una delle più inquinate del mondo.
E in Italia?
Nel nostro Paese, la tecnica del cloud seeding è stata esplorata per la prima volta negli anni ’60. Già in quegli anni, alcuni studi a Modena, condotti dal ricercatore Depietri, non diedero però risultati significativi. Successivamente, tra il 1988 e il 1994, la Puglia fu al centro di un progetto sperimentale, chiamato “Progetto Pioggia”, in collaborazione con l’azienda italiana Tecnagro e la compagnia israeliana EMS. In queste operazioni, aerei spruzzavano ioduro d’argento alla base delle nuvole, a circa 800 metri di altezza. Progetti simili furono poi condotti anche in altre aree del Sud Italia e nelle isole maggiori, come Sicilia, Sardegna e Basilicata.
Nonostante queste sperimentazioni, l’uso del cloud seeding in Italia è andato via via riducendosi, e negli anni ’90 la tecnica è stata abbandonata, o comunque non più supportata a livello istituzionale. Recentemente, però, il tema è tornato al centro del dibattito, specialmente nelle aree più colpite dalla siccità. In particolare, Giuseppe Catania, deputato dell’Assemblea Regionale Siciliana, ha avanzato una mozione per rilanciare l’uso del cloud seeding in Sicilia come risposta alle difficoltà climatiche dell’isola.
Inoltre, nel gennaio 2002, durante un convegno bilaterale a Roma, Italia e Stati Uniti hanno firmato un accordo di cooperazione scientifica sui cambiamenti climatici. Questo accordo, promosso dal Presidente George W. Bush e dall’allora Primo Ministro Silvio Berlusconi, mirava a sviluppare progetti di ricerca congiunti su temi quali simulazioni climatiche, processi atmosferici, ciclo del carbonio e tecnologie energetiche a basse emissioni. Tra gli aspetti principali, si prevedeva anche lo studio degli aerosol e della composizione chimica dell’atmosfera, con un focus sugli impatti dei cambiamenti climatici nel Mediterraneo e nell’emisfero nord. L’accordo prevedeva inoltre esperimenti per studiare la reazione della vegetazione a diverse condizioni ambientali.
Gli Stati Uniti sono sempre stati all’avanguardia nel cloud seeding, soprattutto in campo militare.
I primi esperimenti di cloud seeding militare risalgono agli anni ’40 e ’50, quando le forze armate statunitensi iniziarono a esplorare l’idea di manipolare il clima per fini strategici. Il primo progetto, Cirrus, del 1947, fu una collaborazione tra General Electric, l’aeronautica americana e il governo degli Stati Uniti. Durante questo esperimento, si tentò di modificare la traiettoria di un uragano con ioduro d’argento. Sebbene il tentativo non ebbe successo, diede comunque impulso a ulteriori ricerche.
In seguito, tra il 1967 e il 1972, gli Stati Uniti lanciarono l’Operazione Popeye durante la guerra del Vietnam, con l’obiettivo di prolungare la stagione delle piogge lungo il sentiero di Ho Chi Minh, rallentando così i movimenti delle truppe vietnamite. Si stima che quest’operazione abbia aumentato le piogge nell’area del 30-45%.
Tra i vari progetti sperimentati, quello di maggior durata fu Stormfury, iniziato nel 1962 e concluso ufficialmente nel 1983. Anche se non aveva scopi militari diretti, questo progetto, gestito dall’aeronautica e dalla marina statunitense, puntava a indebolire gli uragani tramite inseminazione delle nuvole. Nonostante non abbia raggiunto il successo sperato, il progetto è stato considerato un tentativo pionieristico di manipolazione climatica su larga scala e ha segnato una tappa importante nella storia della geoingegneria climatica.
Nella visione occidentale, influenzata dalla teoria evoluzionista e dalla concezione dell’uomo come essere quasi divino, ci stiamo avvicinando pericolosamente a quel confine che potrebbe condurci all’autodistruzione, con conseguenze inimmaginabili per gli equilibri del pianeta. In questo contesto, cito il “butterfly effect” o “effetto farfalla”, un concetto sviluppato dalla teoria del caos, secondo cui il battito d’ali di una farfalla in Oriente può influenzare i destini dell’Occidente. Questo principio suggerisce che piccole variazioni in un sistema complesso possano generare grandi cambiamenti altrove, con conseguenze imprevedibili.
L’uomo non può sostituirsi a Dio, né tentare di imbrigliare la natura: un simile atteggiamento porterebbe soltanto a sciagure e distruzione.
Stefano Becciolini
FONTI:
ATALAYAR – HESPRESS – LA PROVINCIA DI VARESE – EURO WEEKLY NEWS – TODAY – IL MESSAGGERO– MOROCCO WORLD NEWS – HESPRESS – THE MOROCCO POST – THE WEEK