Giorgio Bianchi Fotoreporter di Patrizia Boi
Guardare le immagini di Giorgio Bianchi significa andare a scuola di bellezza, l’occhio rimane colpito dalla magia dello scatto, dal particolare che è riuscito a cogliere, dalla meraviglia trasmessa da quell’attimo. Perché lui riesce a dipingere con poesia le due facce opposte di distruzione e rinascita laddove nessuno immaginerebbe nulla. Egli racconta le storie che nascono in un Teatro di Guerra, in quel Teatro dell’Assurdo che non dovrebbe fare Spettacolo, dove i personaggi sono veri e muoiono realmente, cessano di vivere nei loro corpi straziati, ma anche nelle loro anime annientate. Dalle bombe, dalle esplosioni, dai rumori assordanti, dai frantumi lasciati in ogni angolo da un nemico sempre più invisibile, che non è nemmeno in chi combatte, ma nelle ragioni di chi manovra i responsabili dei conflitti come in un grande Risiko.
Giorgio Bianchi presta il suo sguardo acuto per osservare le mosse dei contendenti dal suo punto di vista, guardando nel fondo quello che gli altri non colgono o non vogliono vedere. Sono le sue immagini stesse a parlare: nello sguardo del soldato stupito da una scena apocalittica, nella luce che illumina il volto di una donna seduta sul sedile del treno dell’oblio, negli occhi innocenti di un bambino venuto al mondo nonostante tutto, nella poesia delle ballerine vestite di sole raggiante, nei paesaggi desolati fatti di macerie, come campi da seminare per la Rinascita di un Popolo.
Non intendo discorrere della sua missione di inviato di Guerra in Ucraina e del suo ruolo di esperto di geopolitica internazionale, questo lo hanno fatto in tanti, a partire da Francesco Toscano di Visione TV, per il quale Giorgio è stato inviato speciale per l’Ucraina, per passare attraverso Radio Radio, Byoblu, Cento Giorni da Leoni, Piazza della verità, Becciolini Network, ecc. e finire in quella che secondo me è la più completa intervista da lui rilasciata, quella alla Televisione di Heather Parisi https://www.youtube.com/watch?v=C2NNA2zdPVY.
Voglio piuttosto conoscere l’Uomo, il Padre, il Cittadino del mondo, il Missionario dei Popoli, il Poeta, perché queste immagini sono pura poesia.
Il suo nome, Giorgio, deriva dal greco antico Γεώργιος (Geṓrgios), composto dai sostantivi γῆ (gê, “terra”) e ἔργον (érgon, “lavoro”), significa letteralmente “contadino”, “agricoltore”, “lavoratore della terra”. Infatti queste immagini sono semi di vita tra le macerie della distruzione e sono germogli di bellezza immersi in una dimensione senza tempo.
Il nostro artista ha scelto una professione difficile con la telecamera sempre puntata su sofferenza, dolore, distruzione, annullamento dell’uomo e della vita. Eppure le sue immagini danzano nel tempo e nello spazio, forse per ricordare, a lui figlio di una ballerina, i balletti che devono aver popolato la sua infanzia e la sua fantasia: le foto di Alina e delle altre danzatrici del Teatro dell’Opera sono un incanto fiabesco. Il suo dialogo mai interrotto con la gente del posto, pone nei suoi scatti, una pennellata di intimità, ogni soggetto fotografato sembra conversare con la macchina da presa e svelare la sua storia.
Nelle zone di Guerra, però, ci sono tanti rischi: ogni volta che il nostro Fotoreporter si muove in una trincea, in un campo di battaglia, in una zona bombardata, cosa gli passa per la mente nel momento del pericolo? Anche in situazioni rischiose resta freddo e continua a scattare, entra in uno stato di trans in cui perde la percezione del pericolo creando una distanza con la realtà. Sono il soggetto o l’oggetto dello scatto che gli interessano, si concentra sul suo obiettivo, lo prende di mira e ne fa emergere il cuore. Infatti, dove c’è un conflitto lo accolgono, accettano la sua telecamera come se facesse parte del contesto. Un tempo, invece la sua macchina fotografica era più temuta: uomini coraggiosi e avvezzi alla guerra, si allontanavano spaventati e sparivano davanti a suo occhio indiscreto, come afferma Giorgio stesso, «la fotografia è un mezzo potentissimo, è un ricordo che si innesta direttamente dalla retina del fotografo nel cervello dello spettatore e diventa a sua volta un ricordo dello spettatore».
Non dimentichiamo il libro di Giorgio Bianchi “Teatri di guerra contemporanei” (Edizioni Mimesis per la collana Sguardi e Visioni), dove sono raccolte storie e immagini dei suoi viaggi nei luoghi di guerra. Come egli afferma «è stata un’occasione di aggiungere una terza dimensione alle mie immagini che è quella delle emozioni del fotografo, delle sensazioni e delle atmosfere che sono dietro a questi scatti per arricchire un lavoro che dura oramai da anni».
Le immagini e le storie narrate dal fotoreporter sono «storie di singoli personaggi per cercare di descrivere in maniera indiretta le conseguenze della guerra», vite paradigmatiche come quelle «dei minatori, di cui in Ucraina vi è una lunga tradizione».
Giorgio racconta: «ho seguito la vita dei soldati in prima linea, delle ballerine del Teatro dell’Opera. La cosa che mi ha più colpito di questo conflitto è che quando io arrivai a Donetsk la città era pressoché disabitata, ma il Teatro dell’Opera continuava a funzionare. La maggior parte degli artisti e delle maestranze si sono riunite e, pur non percependo la paga per un lungo periodo, hanno continuato a dare vita agli spettacoli per dare sollievo alle persone». Ma si narrano anche le vite della gente che resta ancora oggi a Spartak, un piccolo villaggio di una cinquantina di anime nella periferia di Donetsk, dove abitano persone che non hanno voluto lasciare le loro case nonostante vivano «senza acqua corrente, senza elettricità, senza riscaldamento anche a -20°». Nonostante la situazione estrema, la loro cultura è permeata dall’attaccamento alla tradizione, alla famiglia e alla lingua e pratica il culto per l’ospitalità.
Dalla sua opera emergono due grandi sensibilità: quella di dipingere la vita che si srotola comunque nel fragore del periodo bellico e quella di mostrare come da un occhio magico i paesaggi di morte e distruzione, con lo spirito raffinato di chi coglie il filo che genera nuove trame.
Egli possiede il talento di riuscire ad attraversare le esistenze dei civili e dei militari riuscendo a farsi narrare vita morte e miracoli in una situazione così drammatica che lascerebbe muti anche i più loquaci. Forse grazie al suo entusiasmo, alla sua luce interiore che genera attrazione, alla sua partecipazione al dolore del popolo e al suo desiderio di conoscenza diretta della verità.
Giorgio Bianchi ha mostrato particolare interesse per i ‘minatori’, per quel mondo sotterraneo più misterioso, dove gli esseri del sottosuolo come gli gnomi e i nani nascondono le vene d’oro e la ricchezza interiore, i talenti di ogni essere umano e della terra. Di certo rivela il segreto dell’abbondanza che possiede la terra ucraina, dei cui vantaggi e profitti viene derubato il suo popolo.
Capita davvero che le terre più ricche materialmente e gli uomini più ricchi interiormente vengano il più delle volte rapinati…
C’è davvero molta poesia e delicatezza nella vita di questi minatori per raggiungere i quali Giorgio ha dovuto costruire un lungo rapporto fatto di fiducia, tanto da essere ospitato da una coppia che non ha avuto remore a mettere in comune la loro intimità: «Secondo me noi reporter non dobbiamo concentrarci solo sugli aspetti negativi delle guerre e delle crisi».
Uno dei suoi personaggi è Sasha, l’emblema di un uomo senza vista fisica che si muove agevolmente nei cunicoli della miniera profonda. L’incontro con Giorgio, contribuisce a restituirgli anche la vista materiale. Questo è un bel regalo che fa a Sasha e alla sua famiglia, attraverso una raccolta fondi. Ma il grande dono lui lo fa alla gente a cui contribuisce ad aprire la visione e a se stesso che si specchia in questa loro evoluzione.
Poi c’è la sua attenzione per le ballerine, Alina e le altre, la danza, il Teatro, quegli abiti raggianti e rifiniti, lo sfolgorio delle luci dello spettacolo, la vicinanza di gente appassionata, i momenti di gioia e di stupore, che aggiungono speranza e magia all’esperienza del viaggio, generando una crescita interiore all’occhio navigato del fotografo.
Il contrasto tra il mondo militare e quello del teatro si integra nella relazione tra Spartaco e Lisa. Un italiano avvilito dalla lotta per l’esistenza, grazie alla sua formazione militare (paracadutisti Folgore ed Esercito Italiano), parte da Brescia e si arruola nel battaglione Vostok nel Donbass, combatte in prima linea e si ferisce tre volte, ma nella tragicità di questa sua esperienza incontra l’amore… Giorgio racconta una Fiaba, con un pennello intimo e delicato, dove Spartaco e Lisa sono i protagonisti, il principe e la principessa senza trono e senza regno, uniti nella loro integrità di uomo e donna che la guerra non è riuscita a distruggere.
I luoghi descritti «ricordano certe atmosfere del film “Il deserto dei tartari”, con questo nemico che sta dall’altra parte ma non si vede e si manifesta solo talvolta con i bombardamenti».
Al nostro artista “l’informazione tradizionale” non bastava più per cui ha sentito l’esigenza di «andare a vedere di persona queste situazioni. Maidan attirò la mia attenzione per via della situazione altamente scenografica, con queste iconiche scene di guerriglia urbana».
In questi viaggi comunque si mette a repentaglio anche la vita e ora che Giorgio ha un figlio di circa tre anni, cerca di non correre più rischi inutili, dalla morte, alla mutilazione, all’invalidità: «Mio figlio ha cambiato tutto. Certe cose della vita non le capisci se non le vedi attraverso gli occhi di un genitore. Capisci cosa voglia dire quando Liza, la moglie di Spartaco, volontario italiano che combatte con i soldati autonomisti, mi raccontava dei bombardamenti e della sua paura di rimanere uccisa, non tanto per sé stessa quanto per la paura di lasciare i suoi figli orfani. Capisci cosa vuol dire la perdita della tua dimensione per una dimensione collettiva che è quella tua e di tuo figlio».
Da quando è diventato padre si rende conto che il suo mestiere può lasciare un segno al suo erede: «spero che un giorno lui possa essere fiero del mio lavoro e capire che la lontananza si è tradotta in qualcosa di utile anche per le altre persone, per capire determinati contesti. Mi auguro di poter tornare in questi luoghi, spero pacificati, per fargli vedere dove il suo papà ha lavorato e a cosa ha dedicato gran parte della sua vita».
Questo figlio rappresenta le nuove generazioni di questi anni bui: Giorgio lascia le sue immagini a questi bambini, agli adolescenti eternamente connessi e alla nostra società di uomini-bambini.
A volte non ha documentato delle vicende accadute come è capitato a Damasco: un professore di musica che ha lasciato il lavoro per combattere, ha rifiutato di essere intervistato con queste parole: «la guerra è una cosa oscena, è una cosa della quale non bisogna parlare, solo chi l’ha vissuta può capire quello di cui io parlerei e quindi la tua audience non capirebbe quello che io ho da dire, e quello che io ho dentro lo devo dimenticare al più presto possibile se voglio sopravvivere». Quest’uomo: «Essendo un animo particolarmente sensibile ed educato all’arte era rimasto talmente lacerato che aveva difficoltà a raccontare questa esperienza. Questo capitolo nel libro lo chiamo “La foto non scattata”, perché di fatto a volte capita ai fotografi di non riuscire a scattare una fotografia e di conservarla dentro sé stessi».
Fisicamente Giorgio Bianchi sembra un personaggio di Pasolini, una figura cristica che somiglia davvero all’Uomo di Nazareth e potrebbe interpretare il ruolo di protagonista del “Il Vangelo secondo Matteo”, ma forse la sua missione è a suo modo quella di essere “salvatore” della verità che si confonde tra i due contendenti del conflitto a colpi di propaganda.
Nel chiasso allarmante dei media filo-atlantisti, Giorgio prova a far sentire la sua voce, cercando di spiegare come la propaganda crei dissonanza cognitiva tra i più deboli e i disinformati.
Lo scenario della Guerra in Ucraina non è del resto dissimile da quello che egli narra nella sua esperienza in Siria da parte di chi vuole l’annientamento di questi Popoli, con la differenza che, come egli stesso ha spiegato, il conflitto in Ucraina è una «guerra fratricida perché di fatto queste sono popolazioni che hanno convissuto – la minoranza russofona e la maggioranza ucraina – da sempre e questa situazione ha generato fratture anche in seno alle medesime famiglie, in seno alle medesime comunità.
Per quanto riguarda la Siria, quella è stata una guerra per procura perché si è deciso in Occidente di rovesciare il governo».
Del resto che compito si prefigge anche certa parte del cinema di Hollywood? Quella di penetrare nelle nostre conoscenze programmando i nostri pensieri, convincendo la profondità dell’uomo che ci sono guerre giuste che portano democrazia e sparano bombe col sorriso, mentre altre vengono combattute da mostri insensibili che dovrebbero scomparire dal pianeta. Se poi si guarda qualcuna delle serie distopiche di Netflix, si possono cogliere le programmazioni, i disegni sottili, i messaggi subliminali, l’abitudine a un mondo di follia: con le assidue liti, le fughe incessanti, le emergenze continue, le vendette e i dispetti che permeano le esistenze degli uomini. Quali menti tracciano questi solchi per condizionare le nostre vite, per creare odio, vendetta, rassegnazione, impotenza e naturalmente utili guerre?
Giorgio Bianchi è uno di quei “divergenti” che illustrano il disegno globale invisibile e che provano a renderlo visibile alle masse, cercando di accendere i veri lumi della consapevolezza.
In tutte le fiabe l’antagonista è un mostro che pare impedire il viaggio dell’eroe, ma che di fatto ne la facilita la crescita, spesso è un Drago con molte teste infuocate che semina terrore nel popolo. L’uccisione del Drago e la trasformazione della sua ombra che mette in luce i talenti nascosti dell’eroe è l’obiettivo del percorso. Chi sono oggi le vittime del Drago e dei suoi tentacoli, come si può neutralizzare il Drago, rendendolo mansueto, legandolo per la cintola e risvegliando il mondo affinché possa finalmente ucciderlo?
Giorgio è un aiutante che guida l’eroe con le sue immagini, che contribuisce al suo risveglio, che svela le ombre e fa riluce lo spirito di anime che nessuna distruzione potrà mai annientare.
Certe volte penso che il racconto di guerra sia solo propaganda, a volte immagino ologrammi inesistenti, ma credo che tutti noi contribuiamo a creare Guerre nel pianeta agendo sulla coscienza collettiva con i nostri conflitti, con le nostre piccole vendette quotidiane, con la nostra mancanza di rispetto nei confronti della terra, della vita, dell’uomo…