Dalla pandemia alla guerra: cronaca di un esperimento sociale riuscito
Cinque anni fa, l’Italia intera veniva trasformata in un gigantesco carcere a cielo aperto. Cinquantanove milioni di persone agli arresti domiciliari, senza processo né sentenza, per una “vera o presunta pandemia”. Una situazione senza precedenti, giustificata da un’emergenza sanitaria che, col senno di poi, ha sempre più i contorni di una manovra di controllo globale. Durante quei lunghi mesi di isolamento forzato, gli italiani sono stati gradualmente abituati a un nuovo stile di vita: ordinare cibo, lavorare e fare acquisti esclusivamente su internet. La libertà, un tempo sacra, barattata per una finta sicurezza.
Poi è arrivato il vaccino, o meglio, il “siero sperimentale”. Un prodotto che, se fosse stato testato sugli animali come si fa di prassi, avrebbe provocato indignazione tra gli animalisti. Eppure, nonostante l’assenza di dati certi sulla sua sicurezza a lungo termine, è stato iniettato nelle braccia di milioni di persone, spesso sotto la minaccia velata – e talvolta esplicita – di essere esclusi dalla società. Chi non si conformava veniva trattato come un untore. Ricordiamo tutti le parole del virologo Burioni: “A casa rintanati come sorci”, una frase che da sola sintetizza l’arroganza di chi ha guidato questo esperimento sociale.
Finito il capitolo pandemia, si è passati al capitolo guerra. Un cambio di scenario che, a ben vedere, non è poi così distante dall’obiettivo iniziale: abituare le masse a un clima di emergenza permanente. Il 2 giugno, nella tradizionale parata, abbiamo visto medici e infermieri – i “nuovi eroi” del Covid – sfilare con orgoglio, quasi a voler celebrare la macabra vittoria di un sistema che ha ridotto la sanità a propaganda.
Nel frattempo, l’apparato mediatico si è riconvertito con straordinaria efficienza. Dai bollettini pandemici siamo passati alle narrazioni eroiche sui “ragazzotti” del Battaglione Azov, presentati come appassionati di Kant e amanti dell’educazione fisica. Chi osa ricordare le simpatie naziste di questi gruppi viene tacciato di complottismo o filoputinismo, mentre l’Europa, guidata dalla storica astuzia della “perfida Albione”, si lancia a capofitto in un conflitto che rischia di trasformare il continente in un campo da Risiko, come già successo per secoli.
E le nostre leadership? Memorabili le parole dell’ex ministro Di Maio, che definì Vladimir Putin “una bestia”, o dell’ex premier Draghi, che ridusse la complessità geopolitica a un triviale “volete la guerra o il condizionatore?”. Intanto, i cittadini si preparano ad affrontare la mazzata finale: anni di economia di guerra. La fornitura di gas russo all’Europa bloccata dal governo ucraino.
Ma di tutto questo, i mass media non parlano. L’attenzione è tutta concentrata sul caso nazionale: la liberazione di Cecilia Sala dalle carceri iraniane. Ancora una volta, l’abilità di distrarre l’opinione pubblica supera ogni aspettativa. E mentre gli europei restano “con il cerino in mano”, i creduloni continuano a sperare che un domani – forse Trump, forse qualcun altro – li salverà.
Il paradosso è evidente: ci siamo abituati a tutto, dalla pandemia alla guerra, passando per la repressione sociale e le emergenze costruite ad arte. Il problema, però, non è solo chi ci governa, ma chi accetta tutto questo senza fiatare. Perché la vera sconfitta, in fondo, è stata quella delle coscienze.
Stefano Becciolini