TRUMP annuncia che CHIUDERÀ il DIPARTIMENTO FEDERALE dell’ISTRUZIONE

Sarà compito degli stati, delle contee e delle città locali decidere la propria politica in materia di istruzione.

L’intenzione di Donald Trump di chiudere il Dipartimento Federale dell’Istruzione non è nuova, ma con la sua rielezione acquisisce ora una rilevanza concreta. Questa proposta si inserisce nella sua visione di un governo federale più snello e meno interventista, in particolare in ambiti come l’istruzione, che molti conservatori considerano di competenza locale. Vediamo le motivazioni e le implicazioni di questa iniziativa.

Trump e diversi esponenti repubblicani ritengono che l’istruzione non debba essere centralizzata a livello federale, ma regolata dagli Stati. La convinzione è che le decisioni educative vadano adattate alle specificità locali, preservando il “valore tradizionale” della formazione. La centralizzazione, secondo loro, conduce a un’istruzione troppo standardizzata e incline all’indottrinamento ideologico, specialmente su temi di genere, razza e identità. Trump ha affermato che molti funzionari del Dipartimento “odiano i nostri figli” perché promuoverebbero valori progressisti in contrasto con quelli conservatori.
Questa chiusura rientra in una strategia più ampia di decentramento federale, che Trump ha già promosso durante il suo primo mandato. L’obiettivo è ridurre le agenzie federali e restituire maggiori poteri agli Stati, soprattutto nei settori dell’istruzione, sanità e ambiente. In ambito educativo, i repubblicani sostengono che l’ingerenza di Washington abbia generato programmi scolastici distanti dai valori locali e aumentato i costi burocratici.

Il piano di Trump è condiviso anche da esponenti di spicco del Partito Repubblicano, come Ron DeSantis, governatore della Florida, e Vivek Ramaswamy, imprenditore con posizioni marcatamente conservatrici. DeSantis, per esempio, ha introdotto in Florida politiche che limitano l’insegnamento di materie considerate “divisive”,, e promosso la rimozione di libri con contenuti giudicati inappropriati dalle biblioteche scolastiche. Il sostegno di queste figure conferisce alla proposta di Trump una solida base di consenso che potrebbe agevolarne la realizzazione.
La chiusura del Dipartimento comporterebbe diverse conseguenze: attualmente, questo ente gestisce i fondi federali destinati all’istruzione pubblica, inclusi quelli per gli studenti a basso reddito e per le scuole in difficoltà. In sua assenza, tali risorse andrebbero riassegnate, e gli Stati dovrebbero occuparsi della loro gestione o trovare altre fonti di finanziamento.

I critici temono che l’abolizione del Dipartimento aumenterebbe il divario educativo, penalizzando gli studenti delle aree più povere. Le organizzazioni per i diritti civili evidenziano il rischio che gli Stati conservatori limitino l’accesso a una formazione inclusiva e imparziale, a scapito dei gruppi più vulnerabili.
Se Trump riuscirà a portare avanti questo progetto, il sistema educativo americano potrebbe subire una trasformazione profonda, con standard di istruzione variabili da Stato a Stato. Il cambiamento potrebbe avere conseguenze significative sia per gli studenti, che si troverebbero a ricevere un’educazione diversa a seconda della residenza, sia per il sistema educativo nel suo complesso, che perderebbe una guida centrale.

La chiusura del Dipartimento dell’Istruzione riflette la visione di Trump e del Partito Repubblicano su un governo meno invasivo, ma le conseguenze sociali ed economiche di una simile riforma rimangono controverse e potrebbero acuire le divisioni nel panorama politico, educativo e sociale degli Stati Uniti.
Stefano Becciolini

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